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Crimini nei media – per un giornalismo che informa senza spettacolarizzare la giustizia

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Stiamo vivendo un momento di passaggio. Accanto alla vita reale ci troviamo a viverne un’altra parallela e virtuale.La società moderna è in piena transizione verso l’era digitale. E tutto cambia ogni giorno: il linguaggio, le forme di comunicazione, i rapporti, i nuovi mezzi di comunicazione. Nella società del digitale, il mondo reale tende a produrre sempre più immagini tramite internet, televisione, foto e video che oggi possiamo direttamente girare con il nostro smartphone e pubblicare subito dopo sui social. Così facendo il virtuale si mischia al reale, si confonde e si scambia con esso. Ciò fa si che il limite tra vero e fake diventi estremamente labile, difficile da identificare.

La curiosità insaziabile per la notizia, per lo “scoop”, per le comunicazioni di massa intese non come campo di studio, di ricerca e di analisi ma come licenza di sbalordire e spesso persino di scandalizzare. Accade, allora, che nel tempo, in ogni delitto o crimine, che suscita paura, angoscia e indignazione nella massa degli spettatori, i mass media si precipitino, raccontando con minuzie di particolari il fatto, interpretando un comportamento.

E le tre S (sesso, soldi e sangue) che sono alla base della riuscita di un un romanzo diventino le protagoniste anche di fatti di cronaca. Sempre più spesso ci troviamo di fronte a indiscrezioni, pettegolezzi e a nessun fatto. Sempre più spesso ci troviamo di fronte alla caccia morbosa della notizia e del teatro della giustizia-spettacolo. Un tritacarne mediatico che evidenzia la mancanza di focus dei giornalisti o presunti tali, trasformandoli in show-men incuranti della privacy, dell’etica e alla ricerca del sensazionalismo che inchiodi i telespettatori al video, senza pensare a come questo accada.

C’è poi un giornalismo investigativo, serio e prezioso che negli ultimi anni ha affrontato i casi criminali. Da un lato ha contribuito alla ricerca della verità e a una sorta di “controllo” sull’operato degli inquirenti. Perché è prerogativa fondamentale dei giornalisti essere una presenza scomoda che metta in evidenza da un lato il lavoro degli inquirenti, dall’altro le carenze o i ritardi che hanno pesato sull’esito delle indagini e hanno lasciato vittime e familiari senza giustizia.

E’ comunque innegabile che accanto a questo ruolo sociale e fondamentale dei giornalisti ci siano aspetti negativi che hanno trasformato l’informazione in una ricerca ossessiva della notizia e, lo dicevamo, dello scoop a ogni costo, anticipando spesso e talvolta in maniera pericolosa gli esiti giudiziari. Quando un giornalista ha una notizia deve darla, questa è la sua missione. Ma deve farlo sempre con etica e coscienza.

I Mass Media spesso diventano un tribunale sommario in cui, vestendo i panni di giudici e censori, perdono il senso della proporzione e abbandonano il loro obiettivo: dare notizie precise ed equilibrate. E lo spirito critico lascia il posto all’adagio dello “sbatti il mostro in prima pagina” proprio per indurre una precisa reazione nell’opinione pubblica. Questo fa sì che anche la precisione e la serietà di fatti e parole utilizzate sia messa in discussione. Si sono persi i significati veri delle parole: indagato, imputato, colpevole diventano sinonimi o sono usati in maniera impropria. E la cosa peggiore è che dimentichiamo o fingiamo di farlo, il principio fondamentale scritto nella nostra carta costituzionale, ovvero che una persona è colpevole dopo sentenza definitiva.